Dietro al tempo oggettivo c’è sempre un tempo vissuto: sono le nostre esperienze a mutarne la forma.
Viviamo con la convinzione che il tempo sia uno e uno soltanto. Lo guardiamo scorrere nell’eterno girare delle lancette di un orologio, nell’alternarsi delle giornate e delle stagioni, lo contempliamo attraverso ricordi digitali e fisici, fra fotografie, lettere, ricordi puri e indissolubili.
Ma se dietro alla nostra concezione di tempo ci fosse qualcosa di più? Se potessimo scinderlo in due piani separati e privarci della sua visione oggettiva?
Il tempo vissuto e il tempo oggettivo
Fu Henri Bergson, filosofo francese nato a Parigi nel 1859, a rivoluzionare per sempre il concetto di tempo distinguendolo in oggettivo e vissuto, due facce della stessa medaglia ma che vengono percepite in maniera differente.
La nostra coscienza percepisce il tempo in maniera differente a seconda del nostro stato d’animo. Da un lato abbiamo l’idea canonica del tempo fisico-matematico, la cui durata è uguale per tutti e regola l’universo a noi conosciuto.
Ma per Bergson esiste una scissione inconciliabile tra tempo scientifico e tempo dell’anima. La vera durata non sta fuori, ma dentro di noi. Per questo i momenti più intensi della nostra vita ci sembrano durare in eterno: vivono dentro la nostra coscienza, all’interno della nostra mente e del nostro spirito.
In un certo senso siamo noi a dominare il nostro tempo vissuto: gli attimi a cui diamo importanza si dilatano. Un’ora non è più semplicemente un’ora, ma un contenitore ricco di progetti, idee, suoni, parole, emozioni. Sta a noi catturare quelle immagini, cucirle insieme in un unico flusso vitale, dominare il nostro tempo, lontani dalle logiche scientifiche.
Laddove esiste un tempo oggettivo, esiste un tempo vissuto. Il nostro tempo.
E possiamo farne quello che vogliamo.